Compie il reato di sostituzione di persona colui che utilizza foto di un’altra persona per aprire un profilo su un Social Network
La sempre maggior presenza della tecnologia, dei social network e in generale di Internet nelle vite di tutti i giorni ha posto le corti davanti al difficile compito di ricomprendere condotte penalmente rilevanti all’interno di fattispecie criminose elaborate dal legislatore nel codice civile nel 1942 in cui problemi del genere non potevano nemmeno essere immaginati.
È esattamente quello che si è trovata a fare la Corte di Cassazione nella sentenza n. 25774 del 2014 estendendo la portata applicativa dell’art. 494 del c.p., rubricato sostituzione di persona, al caso di un soggetto che aveva utilizzato un determinato profilo su un social network, riproducente l’immagine della persona offesa, con descrizioni offensive per usufruire dei servizi del sito consistenti nella possibilità di comunicare e conoscere altri iscritti allo stesso.
In primo grado l’imputato era stato condannato per il reato e lui ascritto, decisione poi confermata anche in sede di appello. Decide quindi di proporre ricorso dinanzi la Corte di Cassazione per violazione dell’art. 606 lettera e), mancanza contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, rispetto alla mancanza dell’elemento soggettivo del reato richiesto dalla norma nella forma del dolo specifico.
Secondo il ricorrente la mera pubblicazione di un profilo su internet, non del tutto riferibile alla persona offesa dato che viene utilizzata la fotografia ma non il nome, non sarebbe sufficiente ad integrare tale forma di dolo.
Innanzitutto, per la Corte, tale motivo di ricorso è inammissibile per ragioni di carattere processuale ma si pronuncia ugualmente nel merito reputandolo anche infondato.
Il dolo specifico richiesto dalla norma consiste nel fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio patrimoniale o non, o di arrecare ad altri un danno; nel caso di specie sussistono entrambi i profili, come correttamente individuato dai giudici di merito, in quanto l’imputato traeva vantaggio non patrimoniale dall’utilizzo di una diversa identità intrattenendo rapporti con altre persone, soddisfacendo così la propria vanità e contestualmente arrecava danno alla persona offesa ledendone la dignità e l’immagine.
Per questo motivo la Corte ha rigettato il ricorso dell’imputato ritenendolo colpevole, attraverso un’interpretazione estensiva, del reato di sostituzione di persona.
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