In tema di responsabilità medica la prova della colpa del medico può essere desunta anche dall’incompletezza della cartella medica

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La III Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7250 del 2018, si è nuovamente pronunciata sull’annosa questione della responsabilità medica e, in particolare, sul tema della regolare tenuta della cartella clinica.

La corretta tenuta della cartella clinica e della documentazione allegata alla stessa è onere precipuo del medico, il quale deve accertarsi personalmente che la stessa venga compilata ed aggiornata costantemente e correttamente.

In passato la giurisprudenza si era già pronunciata sul punto, rilevando che l’incompletezza o la lacunosità della cartella clinica, lungi dall’escludere il nesso eziologico tra la patologia lamentata dal paziente e la condotta del medico, ben può costituire una prova presuntiva della responsabilità di quest’ultimo.

Il ragionamento della giurisprudenza è molto semplice: se il medico ha omesso di compilare la cartella clinica o è stato poco accorto nella tenuta della stessa, ciò rappresenta un indice sintomatico della superficialità ed inadeguatezza del professionista e, dunque, può costituire prova presuntiva del suo inadempimento.

La Corte, già in passato, aveva infatti precisato come “la difettosa tenuta della cartella clinica non solo non vale ad escludere la sussistenza del nesso causale tra la condotta colposa dei medici e la patologia accertata, ma consente il ricorso a presunzioni, come avviene in ogni caso in cui la prova non può essere data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato, nel quadro dei principi in ordine alla distribuzione dell’onere della prova ed al rilievo che assume a tal fine il già richiamato criterio della vicinanza della prova, e cioè la effettiva possibilità per l’una o per l’altra parte di offrirla” (Cass. Civ. Sez. Un. 11/01/2008 sent. n. 577).

Ovviamente servono ulteriori riscontri affinché il Giudice possa utilizzare tale circostanza di fatto come prova per dimostrare il nesso eziologico tra la condotta del medico ed il danno lamentato dal paziente. In particolare, deve esser proprio l’incompletezza della cartella clinica a non consentire la ricostruzione dei fatti e, dunque, l’accertamento del nesso eziologico tra la condotta medica ed il danno.

Inoltre, è necessario che la condotta ascritta al medico sia astrattamente idonea a cagionare quel danno. In presenza di tali circostanze, è oramai pacifico in giurisprudenza che tale mancanza possa essere utilizzata come prova in giudizio della responsabilità del medico.


 

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