L’efficacia della sentenza di patteggiamento per il danneggiato che decide di chiedere il risarcimento del danno in sede civile
Uno dei vantaggi più appetibili che consegue alla scelta di ottenere un patteggiamento è quella di impedire al danneggiato di costituirsi parte civile nel processo penale e chiedere, almeno in quella sede, il risarcimento dei danni subiti e derivanti dal reato commesso.
Ciò non toglie, tuttavia, che il danneggiato possa agire davanti al giudice civile, anche se il processo penale si è concluso con una sentenza di patteggiamento.
Infatti, bisogna sempre tenere a mente che per la persona offesa, che sia anche danneggiata dal reato, vi sono due opzioni per ottenere il risarcimento: quella di costituirsi parte civile nel processo penale o, al contrario, quella di agire in sede civile.
Il fatto che la prima strada non sia percorribile poiché il processo penale si è concluso con un patteggiamento, non preclude al danneggiato di agire in sede civile.
Purtroppo, però, non vi è unanimità di vedute nel valore da attribuire alla sentenza di patteggiamento all’interno del processo civile instaurato dal danneggiato.
La legge non è chiara a tal proposito, in quanto l’art. 445 del codice di procedura penale si limita a statuire l’inefficacia della sentenza di patteggiamento nei giudizi civili o amministrativi e null’altro.
Un primo orientamento, partendo dall’assunto che la sentenza di patteggiamento presuppone un’ammissione di colpevolezza, ritiene che debba essere il convenuto nel processo civile, ossia l’imputato che ha patteggiato nel processo penale, a provare l’inesistenza dei fatti che gli sono stati addebitati col capo di imputazione, con una sorta di inversione dell’onere probatorio.
Un secondo orientamento, invece, ritiene che la sentenza di patteggiamento costituisca un mero indizio, uno degli elementi di convincimento per il giudice civile, da lui liberamente apprezzabile.
Un terzo orientamento, infine, esclude che la sentenza penale di patteggiamento possa costituire un’ammissione di responsabilità e nega che la stessa possa avere qualsiasi efficacia vincolante o probatoria nel processo civile.
Recentemente la III Sezione civile della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20170 del 30/07/2018, è intervenuta sul punto, aderendo al secondo di questi orientamenti.
La Corte sostiene, da una parte, che la sentenza penale di patteggiamento nel giudizio civile di risarcimento e restituzione non è vincolante, ossia non ha efficacia di giudicato, né inverte l’onere della prova; dall’altra, che tale sentenza per il giudice civile non è un atto, ma un fatto e, come qualsiasi altro fatto del mondo reale, può costituire un indizio, utilizzabile solo insieme ad altri indizi e se ricorrono i tre requisiti di cui all’art. 2729 c.c., ossia la gravità, la precisione e la concordanza delle c.d. presunzioni.
Un ulteriore aspetto che merita di esser analizzato è, poi, quello relativo all’utilizzabilità nel processo civile delle prove acquisite nel corso delle indagini preliminari del procedimento penale definito con un patteggiamento.
In altra pronuncia la Corte di Cassazione ha stabilito che il giudice civile può autonomamente valutare, ai fini del proprio convincimento, ogni elemento dotato di efficacia probatoria, purché nel contraddittorio tra le parti.
Ne consegue, pertanto, che anche le prove raccolte in un processo penale (comprese le dichiarazioni verbalizzate dagli organi di polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni testimoniali) possono entrare nel processo civile ed esser utilizzate quali elementi di prova, anche se le stesse non sono state vagliate nel processo penale in questione, poiché quest’ultimo si è concluso con un patteggiamento (Cass. 2168/2013 richiamata in Cass. 20562/2018).
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