Nelle cause di risarcimento del danno da nascita indesiderata per responsabilità medica spetta al paziente provare il nesso causale tra la condotta colposa del sanitario e il pregiudizio subito

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Tale assunto è stato riconfermato dalla Cassazione con l’ordinanza n. 7044, depositata in data 21 Marzo 2018. La vicenda trae origine dalla causa promossa da due coniugi contro l’azienda sanitaria locale ed alcuni medici del presidio ospedaliero per ottenere la condanna al risarcimento del danno alla salute della figlia nascitura e, in particolare, per le gravi patologie cerebrali contratte in dipendenza del ritardo con cui era stato effettuato il parto cesareo, con conseguente sofferenza fetale. Il Tribunale prima e la Corte d’Appello di Firenze poi, rigettavano la domanda dei genitori sulla base della consulenza tecnica d’ufficio dalla quale era emerso come in capo ai medici non era riscontrabile alcuna negligenza, imperizia ed imprudenza; neppure sussisteva una correlazione tra le lesioni subiti dalla bambina e la condotta dei sanitari, non potendosi dunque riscontrare un inadempimento della struttura ospedaliera per inadeguata organizzazione del servizio.

La difesa degli attori fa ricorso in Cassazione eccependo l’errata applicazione dei principi in punto di nesso di causalitàe di onere probatorio.

La Suprema Corte a questo punto torna ad occuparsi del corretto riparto dell’onere della prova in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, confermando il principio per cui il paziente, che agisce in giudizio per il risarcimento del danno da colpa medica, ha l’onere di provare il nesso di causalità tra la malattia, il suo aggravamento ovvero la nuova patologia e la condotta commissiva o omissiva dei medici.

Solo successivamente spetta alla struttura sanitaria provare che la prestazione medica dovuta risultava impossibile per causa alla stessa non imputabile ovvero che l’inadempimento è stato causato da una evenienza imprevedibile, oltre che inevitabile, con la comune diligenza.

Pertanto, il ricorso viene rigettato e i ricorrenti condannati a pagare, in solido tra loro, le spese del giudizio di legittimità.

Più nello specifico, con particolare riferimento al caso, sempre più frequente, del cd. danno da nascita indesiderata, è stato stabilito come «il genitore che agisce per il risarcimento del danno ha l’onere di provare che la madre avrebbe esercitato la facoltà d’interrompere la gravidanza ove fosse stata tempestivamente informata dell’anomalia fetale; quest’onere può essere assolto tramite inferenze desumibili dagli elementi di prova, quali il ricorso al consulto medico proprio per conoscere lo stato di salute del nascituro, le precarie condizioni psico-fisiche della gestante o le sue pregresse manifestazioni di pensiero propense all’opzione abortiva, gravando sul medico la prova contraria, che la donna non si sarebbe determinata all’aborto per qualsivoglia ragione personale» (Cass. n. 25849/2017; Cass., Sez. Unite n. 25767/2015).

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