Non risulta configurabile il reato di violazione degli obblighi di assistenza per i figli minori se non è accertato lo stato di bisogno effettivo che non può desumersi dall’omesso versamento dell’assegno di mantenimento
Con una recente pronuncia (sentenza 13/05/2016 n° 23010) la Sezione VI della Corte di Cassazione è intervenuta in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare e, in particolare, in ordine alla previsione prevista al secondo comma dell’art. 570 del codice penale, che punisce chi priva gli stretti familiari (figli minorenni o maggiorenni ed inabili, coniuge, ascendenti) dei necessari mezzi di sussistenza, ossia di tutti quegli strumenti destinati a far fronte alle più elementari esigenze di vita, quali ad esempio il vitto, il vestiario, l’abitazione, i medicinali o le spese per l’istruzione dei figli.
La condotta sanzionata dall’art. 570, comma 2, c.p. presuppone tuttavia uno stato di bisogno dell’avente diritto, nel senso che l’omessa assistenza deve avere l’effetto di far mancare i mezzi di sussistenza, che comprendono quanto è necessario per la sopravvivenza, situazione che secondo la giurisprudenza non si identifica né con l’obbligo di mantenimento, né con l’obbligo alimentare, aventi invece una portata molto più ampia (Sez. Un. Cass. 31/05/2013 n. 23866).
Va precisato, altresì, che in tema di obblighi di assistenza familiare, entrambi i genitori sono tenuti al mantenimento dei figli minorenni o che non siano in grado di procurarsi un proprio reddito, anche in assenza di un provvedimento giudiziario che disponga in tal senso.
La mera circostanza che vi provveda già interamente uno dei due genitori non esime l’altro dal contribuire e, al contrario, la volontaria e consapevole omissione dei mezzi di sussistenza rende il genitore inadempiente ugualmente passibile di condanna penale.
Il caso affrontato dalla Corte riguardava un padre onerato da un assegno di mantenimento mensile di ben € 8.000,00 per i due figli minori, il quale, a causa di contingenti e temporanee difficoltà economiche, aveva unilateralmente deciso di ridimensionare tale assegno in € 800,00, curandosi di saldare quanto dovuto in un momento successivo.
Lo stesso veniva condannato, sia nel primo che nel secondo grado di giudizio, per il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare ex art. 570, comma 2, n. 2 c.p., perché ritenuto colpevole di essersi sottratto ai propri doveri riducendo l’importo dell’assegno di mantenimento e così facendo mancare i mezzi di sussistenza alla moglie ed ai figli.
La Cassazione, tuttavia, ha annullato la pronuncia di condanna, ritenendo che nel caso di specie “il grave disagio ed effettivo stato di bisogno” di moglie e figli non fosse supportato dai dati di fatto accertati.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello, infatti, si erano limitati a richiamare alcuni precedenti giurisprudenziali della Corte di Cassazione in merito alla presunzione dello stato di bisogno dei figli minori, senza tuttavia valutare adeguatamente le circostanze del caso concreto. La Suprema Corte, invece, ha valorizzato tali circostanze e, in particolare, il rilievo economico della somma che l’imputato aveva comunque continuato a versare per il mantenimento della moglie e dei figli (ben € 800,00), nonché il fatto che la riduzione dell’assegno si fosse protratta solo per pochi mesi e, infine, anche la circostanza che la madre dei minori avesse la disponibilità di ulteriori ed ingenti somme di denaro, tali da non generare un reale stato di bisogno.
Secondo la Corte di Cassazione, affinché si possa affermare la penale responsabilità dell’imputato è necessario che si accerti l’effettivo e concreto stato di bisogno della moglie e dei figli minori dello stesso.
Con tale pronuncia la Corte ha preso le distanze dal precedente e costante orientamento della giurisprudenza, secondo cui la mera inosservanza dell’obbligo di versare l’assegno di mantenimento fissato dal giudice in sede di separazione costituiva condotta punibile ai sensi dell’art. 570, comma 2, c.p., anche nel caso di inadempimento parziale ed a prescindere dallo stato di bisogno, che veniva sempre presunto in presenza di figli minorenni.
A onore del vero, una precedente pronuncia della Corte di Cassazione aveva stemperato questo rigido orientamento, sancendo che “ai fini della consumazione del reato di cui all’art 570 comma 2 n. 2 c.p. il giudice penale deve accertare l’assenza dei mezzi di sussistenza in capo ai beneficiari dell’erogazione” e che “tale accertamento è indipendente da quanto stabilito dal giudice in sede civile e, pertanto, l’assenza dei mezzi di sussistenza non può essere dedotta semplicemente dal mero inadempimento della corresponsione individuata dal giudice civile” (Cass. pen., Sez II, 4 novembre 2014 n. 46854).
La pronuncia in commento, proseguendo su questo filone interpretativo, ha dunque riconosciuto che, per poter affermare la responsabilità penale per il reato previsto dall’art. 570, comma 2, n. 2 c.p., allorché vi siano stati degli adempimenti parziali da parte del genitore obbligato, non si potrà prescindere da un’accurata verifica circa l’effettività e la concretezza del millantato stato di bisogno, anche nell’ipotesi in cui i fatti di causa riguardino figli minori.
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