Non sono sufficienti l’alito vinoso del conducente e le gravi conseguenze dell’incidente stradale per desumere la sussistenza del reato di guida in stato di ebbrezza ed in questi casi il giudice deve optare per la sanzione amministrativa

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Non è sufficiente a fondare la responsabilità penale per guida in stato di ebrezza il fatto che si sia verificato un incidente stradale grave e che il conducente risulti aver fatto uso di sostanze alcoliche presumendolo dall’alito vinoso dello stesso.

In questo senso si è pronunciata la Corte di Cassazione penale con sentenza molto interessante e garantista, in occasione di una vicenda che vedeva la condanna dell’imputato nei due gradi di merito per il reato di guida in stato di ebrezza, in quanto i giudici desumevano dalla grave portata dell’incidente causato, nonché dall’alito vinoso riscontrato dalle forze dell’ordine intervenute sul posto, elementi idonei e sufficienti a ritenere integrata la fattispecie criminosa.

In più di un’occasione, in effetti la Cassazione  ha affermato come sia possibile l’accertamento dello stato di ebrezza del conducente su base sintomatica, ovvero in assenza della necessaria strumentazione tecnica. Tuttavia, pur quando risulti accertato il superamento della soglia minima stabilita dalla legge (0,5 g/l), si presume che la condotta dell’agente configuri un mero illecito amministrativo, a meno che «non sia possibile affermare, oltre ogni ragionevole dubbio, che la condotta dell’agente rientri nell’ambito di una delle ipotesi che secondo la legge conservano rilievo penale».

Ricordiamo che il codice della strada prevede un doppio regime sanzionatorio: se il tasso alcolemico rilevato si attesta tra 0,5 g/l e tra 0,8 g/l, il guidatore deve essere sanzionato unicamente in via amministrativa; diversamente, allorquando il tasso alcolemico risulti superiore a 0,8 g/l scatta la configurabilità del reato di guida in stato di ebrezza.

Nel caso di specie la Suprema Corte sostiene che, essendo sanzionata diversamente la condotta dell’agente, in via amministrativa o in via penale, in base ad una lieve differenziazione dell’entità del tasso alcolemico il cui accertamento si presenta difficoltoso, se non improbabile, soprattutto se viene effettuato prendendo in esame unicamente elementi sintomatici e non i criteri certi e determinati dalla legge, in questi casi  bisogna scegliere la strada della non punibilità in sede penale.

Fatti sintomatici di uno stato di ubriachezza possono essere valutati in giudizio come elementi presuntivi e non come piene prove.

Solo l’utilizzo di indagini che si avvalgano di esami ematici, etilometrici o di liquidi biologici, i quali appaiano caratterizzate da quei profili di certezza, precisione e tassatività, possono seriamente permettere di configurare una condotta come penalmente significativa.

In situazioni analoghe a quella presa in esame dal Supremo Collegio, appare, pertanto, doverosa la collocazione della condotta incriminata nel contesto della categoria più favorevole, vale a dire quella amministrativa, in ossequio al principio del “favor rei”.

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