Nuovo regime di procedibilità del reato di minaccia con l’entrata in vigore della c.d. riforma Orlando del 2017

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Nell’immaginario comune si è inclini a sottovalutare alcune condotte, ritenendo le stesse assolutamente lecite e, tuttalpiù, qualificabili come scorrette o maleducate.

Tuttavia, mandare a quel paese un estraneo mentre si è alla guida o in coda alle poste, scrivere un post offensivo rivolto ad un’altra persona su un profilo social network, istigare all’odio razziale su internet, sono tutte condotte che possono far sorgere una responsabilità penale in merito a diverse fattispecie di reato, alcune anche piuttosto gravi.

Orbene, anche proferire frasi “minacciose” nel contesto di una lite può configurare il reato di minaccia.

Ciò, peraltro, è confermato dalla mole di procedimenti penali pendenti nei tribunali italiani, aventi ad oggetto proprio fatti di questo genere, che il sentire comune non considera particolarmente offensivi.

Il reato di minaccia, che è previsto e punito nel nostro ordinamento dall’art. 612 del codice penale, è un reato c.d. di pericolo, il che significa che non conta che la condotta minacciosa non abbia concretamente cagionato una lesione del bene giuridico protetto dalla norma, ossia della libertà morale della persona offesa.

In poche parole, è richiesto, ai fini dell’integrazione del reato, che la minaccia, ossia la prospettazione di un futuro male ingiusto, sia seria e credibile, dipendente dalla volontà del minacciante ed idonea ad incutere timore in una persona ragionevole, in base ad una valutazione che deve esser effettuata ex ante ma in concreto, ossia sulla base della situazione sussistente al momento dei fatti, tenuto conto però di ogni circostanza contingente e dei rapporti intercorrenti tra le parti coinvolte.

Non ha, tuttavia, alcuna rilevanza la circostanza che il minacciato non si sia realmente sentito intimorito dalle parole o dai gesti del soggetto agente, posto che, ripetesi, trattasi di un reato di mero pericolo.

Il legislatore distingue tra le minacce semplici, perseguibili a querela, dalle minacce gravi, in passato procedibili d’ufficio, ossia a prescindere dal fatto che la persona offesa avesse sporto o meno querela. Tuttavia, con il D. Lgs 36 del 2018, in attuazione della riforma del processo penale attuata con la Legge Orlando del 2017, è stato modificato il regime di procedibilità di questo reato.

Oggi la minaccia è, per la maggior parte delle ipotesi, procedibile solo a querela di parte, anche quando aggravata.

La Suprema Corte da sempre ritiene che “la gravità della minaccia vada accertata avendo riguardo al tenore delle eventuali espressioni verbali ed al contesto nel quale esse si collocano, onde verificare se, ed in quale grado, la condotta minatoria abbia ingenerato timore o turbamento nella persona offesa” (Cass. Pen. sez. V n.35593/2015).

Dunque, in linea di principio, maggiore è l’attitudine della minaccia ad ingenerare un grave timore nella persona offesa, maggiori sono le probabilità che la condotta venga considerata aggravata.

Inoltre, l’art. 612 c.p., al comma 2, prevede che la minaccia sia aggravata anche nelle ipotesi previste dall’art. 339 c.p., al quale rinvia espressamente.

Questa norma descrive alcune particolari situazioni, nelle quali la violenza o la minaccia sono connotate da un’intrinseca potenzialità lesiva (ad esempio l’aver commesso il fatto con armi, con altre persone, ecc.).

Oggi, per effetto delle modifiche apportate alla norma, la procedibilità del reato è d’ufficio soltanto se ricorre una delle circostanze previste dall’art. 339 c.p., altrimenti è necessaria la proposizione di una querela affinché la giustizia possa fare il suo corso e procedere all’accertamento del reato e all’eventuale condanna del colpevole.

Può, tuttavia, capitare che i fatti siano stati commessi prima dell’entrata in vigore della riforma e che la persona offesa, ritenendo il reato procedibile d’ufficio, non abbia sporto querela.

A questo punto, la legge prescrive che la persona offesa sia messa nelle condizioni di poter sporgere querela, altrimenti, alla luce dell’intervento di riforma, il colpevole non potrà esser perseguito.

Se il procedimento penale è già stato avviato, a prescindere dalla fase in cui si trova (indagini preliminari o dibattimento), l’autorità giudiziaria dovrà reperire la persona offesa ed avvisarla della facoltà di sporgere querela, concedendole un termine di mesi tre, nel corso del quale il procedimento verrà sospeso.

Se la persona offesa, regolarmente avvisata, decide di non avvalersi di tale facoltà, l’imputato, se già vi è stato rinvio a giudizio, verrà prosciolto, difettando la condizione di procedibilità; nell’ipotesi in cui il procedimento versi ancora nella fase delle indagini, il PM sarà tenuto a chiedere l’archiviazione al Giudice per le indagini preliminari.

Se, invece, la persona offesa esercita la propria facoltà e sporge querela entro il termine concessole, il procedimento penale potrà continuare il suo corso, fermo restando che l’imputato, all’esito dello stesso, potrà comunque riuscire a provare la propria innocenza.

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